Per Goffredo Parise, la Cina è un poema composto da "molti, quasi infiniti versi". [...] Da Canton a Hong Kong, fermandosi a Pechino e a Shangai, più che sui luoghi fisici, il reporter si sofferma sulle persone. Ne ricava molti dialoghi che costituiscono lo scheletro di questo libro magro.
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Sono davvero memorabili sia l'incontro in un ospedale tradizionale con una dottoressa che pratica l'agopuntura ("da persona più bella che mi sia capitato di vedere da quando sono in Cina"), sia la visita a una scuola, nel corso della quale sperimenta la consistenza corporea dei fanatismo, impersonato dal direttore ("E' la prima volta nella mia vita che vedo il fanatismo politico: è ripugnante e pietoso al tempo stesso, ma fa paura"). in entrambi e opposti casi, la flessibilità e la leggerezza degli strumenti conoscitivi di Parise rendono possibile la difficile arte della conoscenza.
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