“Tutti cominciamo a sperimentare la malinconica insoddisfazione che appesantiva i cuori dei neri del Delta del Mississippi, la terra in cui è nato il blues: un senso di anomia e alienazione, l’assenza di radici e di antenati; la sensazione di essere merci più che persone.
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” Benché non ci sia nulla di profetico nelle anticipazioni di Alan Lomax, è difficile non provare un brivido leggendo i suoi resoconti sull’America rurale della prima metà del Novecento e confrontandoli con la realtà socioculturale che ha determinato la rielezione di George W. Bush. La terra del Blues è, naturalmente, un saggio sulla musica e sui suoi protagonisti, animato dallo scambio appassionato tra figure esemplari della storia del blues e il ricercatore che più di ogni altro ha contribuito a far conoscere questo aspetto della cultura afroamericana. Conversazioni, aneddoti, testi di canzoni, dettagli sulle tecniche esecutive: nessuno meglio di Lomax, lo “scopritore” di Leadbelly, Son House e Muddy Waters, poteva riunire tanto materiale in una narrazione puntuale e convincente per lo studioso e al tempo stesso franca e cordiale come una chiacchierata fra gente del Profondo Sud. Questo conversatore arguto, che si guadagna la fiducia di braccianti e carcerati perseguitati dalla segregazione razziale, è uno dei fondatori dell’etnomusicologia moderna, promotore di ricerche in ogni parte del pianeta, Italia compresa. Dal particolare delle sue investigazioni, ha sempre cercato tenacemente di estrarre indicazioni universali: “Ora che in tutto il mondo la gente comincia a sentire il gusto amaro dell’epoca postindustriale, il blues del Delta ha trovato un pubblico mondiale”.